mercoledì 13 novembre 2013

REVIEW // Soviet Soviet - Fate


Genere: Post-Punk, New Wave
Etichetta: Felte Sounds
Pubblicazione: 11 novembre 2013
Voto: 7


Uno degli obiettivi di Primavera Indiependente è naturalmente concentrarsi anche su quanto avviene nel panorama indipendente italiano. Affrontate le difficoltà cogenti oggi possiamo parlare con piacere della gradevole ed oramai consacrata realtà rappresentata dai Soviet Soviet. Il solido terzetto proveniente da una scena musicale pesarese molto attiva è nato nel 2008 ed è composto da Alessandro Ferri alla batteria, Andrea Giometti voce e basso, Alessandro Costantini voce e chitarra, i quali hanno affibbiato questo nome alla band quasi per gioco, ammaliati dalla sua dilogia. Fate è il loro primo vero album completo e ci arrivano dopo demo, ep e chilometri macinati col furgone nell'europa dell'est, concerti in Italia, in Europa e nel Mondo; spazi guadagnati su Pitchfork, The Fader, Stereogum, l’apertura delle due date italiane dei P.i.L.
Nato sotto l'etichetta Felte Sounds l'11 novembre, viene proposto dalla band come un prodotto più maturo, con la voce e la parte testuale più curate, meno grezzo, più impulsivo e ragionato. Dieci tracce oscure di un post punk nostalgico molto omogenee che solo in due casi superano i quattro minuti e che mettono le sequenze delle chitarre in bell'evidenza.   
Già nel brano d'apertura Ecstasy colpiscono al cuore e alla mente i ritmi sincopati dettati dall'attività frenetica della batteria, 1990 è il primo singolo che ha anticipato l'uscita dell'album la cui vibrante presenza costante delle chitarre e bassi ingaggiano una gara di equilibrismo in cui ne escono entrambi vincitori; il ritmo avvolgente strappapplausi di Introspective Trip, la cupa Further dall'importante assolo di chitarra nel finale, la più che gradevole melodia della new wave Gone Fast accompagnata da bassi prepotenti, l'energica No Lesson che nel bel mezzo si prende una rara pausa per riesplodere nel finale, l'elettricità di Togheter che non lascia piacevolmente tregua, la decadente Hidden, la violenta arringa sempre orchestrata da una batteria inesauribile di Something You Can’t Forget che ci conduce alla resa dei conti finale con Around Here.
Pezzi, tra l'altro, cantati tutti in inglese il che testimonia la loro esigenza, ma anche quella dei loro omologhi, di farsi conoscere all'estero considerato il cammino in cui sono posizionati troppi ostacoli lungo i circuiti mainstream italiani.

 by Sigu      



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