Dopo le tredici ore del giorno inaugurale un'attenta distribuzione delle proprie energie risulta un requisito indispensabile per godere fino all'ultima goccia il tanto atteso evento catalano anche se ciò può richiedere qualche necessario anche se doloroso sacrificio. Quest'anno all'altare ci tocca immolare Josè Gonzalez di scena all'Auditori Rockdelux nel primo pomeriggio, con la caccia al biglietto che alle 16 vedeva tornare sconfitti gli avventori ritardatari. A lenire la ferita, oltre ad un'altra brillante giornata a livello metereologico (anche se la più fresca delle 3), un'alternativa di lusso fornita dal duo statunitense Sylvan Esso, aggregati al gruppo in corso d'opera e felice intuizione dal momento che sono molti i proseliti a raggiungere Mordor alle 18 per approfittare dell'elettronica che alterna intimismo (con la meravigliosa Coffee) a ritmiche più battenti (Uncatena tra tutte). Il ritorno dall'Heineken è quindi accompagnato da un largo sorriso e ci par quasi di fluttuare fino al lontano ATP che di lì a poco vedrà in scena i canadesi The New Pornographers già apprezzati proprio qui nel 2010. A.C. Newman, Dan Bejar e Neko dopo le brevi parentesi soliste tornano a sfornare un repertorio ricco ed impreziosito da due o tre pezzi dell'ultimo Brill Bruisers. Detto cìo il live continua ad apparire un po' bloccato così come la valutazione su un gruppo che personalmente prosegue attestandosi in quella terra di mezzo che lo rende un evento buono in caso di assenza di competitors (con tutto l'enorme rispetto per l'icona Patti Smith apprezzata dal nostro Sigu che per inciso la descrive così: Una Patti Smith alla soglia dei 70 anni
ha aggredito il palco come una ventenne interpretando senza sorprese il
suo album capolavoro e convincendo totalmente il pubblico presente con
una esibizione senza cali e degna della sua fama). Ci risparmiamo gli ultimi minuti di Tobias Jesso Jr. ed i relativi problemi audio tanto rimarcati un po' ovunque (nonostante tutti siamo d'accordo sulla classe del giovane statunitense) per dar credito a The Julie Ruin comodamente seduti sui gradoni del Ray Ban, scelta che con due tappi nelle orecchie si sarebbe rivelata anche azzeccata...
Tra le frustranti scelte cui il nostro amato Primavera ci mette innanzi ogni anno la più dolorosa risulta a noi l'incrocio Perfume Genius / Belle & Sebastian con la scelta che ricade sul primo, inseguito da troppo, troppo tempo per lasciarselo sfuggire proprio qui, a 20 metri dal mare... Neanche a dirlo, scelta azzeccata, con Mike Hadreas che mi (ci) regala quello che, ad ex aequo, sarà la miglior esibizione del festival. Elegante, raffinato, introverso come era lecito attendersi nonostante alcuni video volutamente provocatori, l'artista statunitense nell'ora scarsa di esibizione regala tutte le perle più attese alternando momenti di grande intimità ai pezzi ballabili vera rivoluzione del fortunato ultimo Too Bright. A chiudere la gemma Queen nonostante il tentativo da parte dell'organizzazione, fortunatamente vano, di castrare un concerto finito leggermente lungo. Applausi scroscianti e due lacrime che su Learning potrebbero aver inavvertitamente solcato il viso... Si apre ora quello da molti definito (non da tutti, chiaro) il più grande vuoto degli ultimi anni nel programma. Il rapporto distanza/aspettativa boccia l'opzione Sleater-Kinney ed alla fine optiamo su un fugace sguardo dalle parti del Ray-Ban dove si ripresenta al pubblico la leggenda del post-punk australiano The Church, invero troppo lontano dal nostro percorso di studi per farci nuovi adepti. Con una grandissima opera di autoconvincimento, quasi esaltati, ci prepariamo al nostro fuori-pista con l'hip hop dei Run The Jewels, per genere certamente la proposta dell'anno. Sebbene la creatura più recente non ci avesse lasciato indifferenti abbandonarsi totalmente allo show dell'infortunato Killer Mike ed il vivace El-P risulta più complesso del previsto anche se con Close Your Eyes e Lie, Cheat, Steal il processo di integrazione può dirsi sufficientemente riuscito. Metabolizziamo il nostro nuovo lato con un ottimo quanto salato (più sul conto che sulla lingua) hamburger e ci avviamo, in realtà non convintissimi, verso un Heineken che vedrà di scena la rivelazione Alt-J, senza alcuna ombra di dubbio immeritatamente head-liner con all'attivo un ottimo esordio ed un deludente sophomore... Resistiamo giusto 6 canzoni, da Hunger of the Pine fino alla nostra amata Matilda. Concerto personalmente piatto, che non offre nulla in più rispetto a quanto ascoltato sui diversi supporti. A scusante possiamo avanzare l'ipotesi che ne la nostra posizione ne la nostra attitudine fossero tali da apprezzare in totale libertà l'evento. E poi sì, il richiamo di Jon Hopkins, nonostante gli anni, continua ad essere troppo forte per lasciarlo cadere nel vuoto. Arrivati all'ATP a sessione appena iniziata non ci vuole molto tempo per comprendere che l'impianto messo a disposizione del genio inglese non risulti adeguato. Ciononostante avvicinandoci un po' il live si rivela come sempre, e forse ancora di più, esaltante, ricco di quei cambi di ritmo ormai specialità della casa. Ma il più atteso degli eventi mai nascosto dal sottoscritto rimaneva il ritorno dei Ratatat, ormai prossimi a lanciare un nuovo album ed incontestabili maestri del palcoscenico. Forse proprio per questo, mai come quest'anno, non offrire un'alternativa valida (con buona pace dei Movement che adoro) si è rivelata una grande pecca con il Ray-Ban che in breve si stipava come un uovo rendendo non totalmente fruibile sia per audio quanto per libertà di movimento il concerto stesso. Evan Mast e Mike Stroud risultano comunque impeccabili sul palco e Seventeen Years il giusto premio atteso da diversi mesi. Alle ore quattro passate, con immutata stima nei confronti di Dixon, estraiamo dallo zaino una discreta dose di buon senso (di cui ignoravamo l'esistenza) ed abbandoniamo il Forum consci che l'indomani, giorno di chiusura, non ci sarà altra opzione: vamos a darlo todo...
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