mercoledì 19 giugno 2013

REVIEW // Sigur Rós - Kveikur


Genere: Post-Rock
Etichetta: XL Recordings
Pubblicazione: 17 giugno 2013
Voto: 7,5


Alcuni addii diventano fisiologici per poter ripartire ed uscire da una fase di stallo che alla lunga si fa insostenibile per tutte le parti in causa. E così Kveikur rappresenta un nuovo inizio con la band islandese più acclamata del pianeta che ricomincia da tre. Certamente non poco sofferto l'abbandono del fondatore Kjartan Sveinsson, polistrumentista da record (sintetizzatore, piano, chitarra, oboe, flauto, organo, banjo...) dopo 15 anni di percorso e successi che inevitabilmente portano anche con se un pizzico di vuoto, qualche idea non condivisa ed infine il desiderio di seguire la propria rotta senza compromessi. Ecco allora, ad un solo anno dal controverso e probabilmente sottovalutato Valtari, certamente più affine alla formazione classica del partente "Kjarri", riemergere ed esplodere in Kveikur tutta l'energia, e l'aggressività repressa, che ci sbalza indietro nel tempo fino a quel rock stratificato ed elettrificato al limiti dell'epico che nella nostra mente rimanda per analogie fino a Takk. La musica evade improvvisamente da quella foresta incantata che sembrava filtrarne i suoni e si trasforma in cascata o nel ruggito di una belva tornata finalmente libera, per la gioia dei tantissimi fans (noi inclusi) che nelle recenti produzioni non riuscivano più a rispecchiarsi totalmente. E così si apre con un vulcano in eruzione, fatto di batteria contundente, e distorsioni che coprono di cenere e zolfo anni di sperimentazioni con la tumultuosa Brennisteinn (zolfo, appunto). Anche la voce di Jónsi Birgisson sembra giovarne riecheggiando eterea prima nel lento incedere di Hrafntinna e poi nella fatata melodia di Isjaki, splendido simbolo del risveglio creativo anche se con qualche inevitabile passaggio a vuoto. Gloria anche per il batterista Águst, inatteso protagonista nella ritmica industriale della traccia iniziale, o dei riflessi metallici di Hrafntinna e Stormur fino al quasi post-punk dell'altra perla, Rafstraumur. Nella title-track torna l'ululato liberatorio di Jonsi, quasi a rendere omaggio ad un passato accantonato troppo precocemente, che richiama in maniera più o meno velata gli scorci rocciosi di Ágætis Byrjun e di uno dei suoi fari più amati, Svefn-g-englar. Non ci offre un attimo di pausa neanche l'aurea apparentemente riflessiva di Bláþráður prima che la strumentale melodia malinconica di Var conceda il degno congedo e la nostra mente cominci già a sognare le vibranti sensazioni delle chitarre ruggenti trasposte in un live che torna ad occupare la casella dei concerti "imperdibili" di questa estate. Di nuovo.








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