Genere: Garage-Rock, Indie-Rock
Etichetta: 4AD
Pubblicazione: 7 maggio 2013
Voto: 8
Difficile conformare i Deerhunter a qualsiasi altra band, sia per la peculiarità che la contraddistingue sia per la particolare percezione che genera nei followers e negli amanti della musica più in generale. Al di là della rotta intrapresa o delle rivoluzioni che accompagnano la struttura della band, il consenso del pubblico è garantito, forse anche in considerazione del fatto che non vi è stagione dell'anno in cui il progetto di Atlanta ci lasci soli, o direttamente nella sua forma più nota ed apprezzata o parallelamente con gli alter-ego che le due menti geniali hanno creato per convogliare la loro monomania nei confronti della musica. E così nonostante dall'opera geniale, Halcyon Digest sia trascorso il più lungo lasso di tempo tra un album e l'altro, Bradford Cox e Lockett Pundt hanno continuato a far pulsare il cuore dei Deerhunter sotto le mentite spoglie di Atlas Sound e Lotus Plaza, veri e propri satelliti in grado di scalare autonomamente le classifiche di gradimento ed allo stesso tempo liberare ciascuno dei membri dalla pressione che può scaturire dal costante confronto di due personaggi così... particolari. Dunque si riparte con la mente sgombra e l'obiettivo di trovare un nuovo aggettivo al nuovo arrivato dopo lo sfuocato Cryptograms, l'elegante Microcastle ed il presuntuoso Halcyon Digest. Mancherà il basso rassicurante di Josh Fauver ad occupare il centro del palcoscenico, mentre Cox catalizza l'attenzione del pubblico e Pundt tiene lo sguardo fisso tra chitarra e scarpe per quattro-quinti del concerto in perfetto stile shoe-gaze, ma Josh McKay come chitarra e Frankie Boyles al basso godono del recente trascorso con Lotus Plaza e si possono considerare già collaudati e consapevoli di ciò che li attende. Detto ciò i Deerhunter ripartono da dove si erano fermati ma prendendo una direzione che si discosta maggiormente dall'estetica accarezzando un garage dai contorni punk più istintivo ma anche più orecchiabile, tanto che già al primo ascolto regala buone sensazioni. Il ritmo si fa sostenuto fin dall'inizio ed assaporando Neon Junkjard e Leather Jacket II ci rassicuriamo sul fatto che distorsioni di chitarra e microfono continueranno a farla da padrona anche se in maniera più accorta e calcolata mentre Pundt offre il suo immancabile tocco dream pop in The Missing. Il desiderio di offrire il proprio omaggio alla cultura americana ci porta a Pensacola e Dream Captain, invero la parte meno accattivante dell'album. Superato questo ostacolo non avremo più intoppi e rischieremo di farci rapire dall'esaltante sequenza introdotta dalla melodia ritmata di T.H.M. nondimeno che Sleepwalking vero manifesto dell'album e del Cox-pensiero (when a decade is spent searching/
for something time will never bring/something starts to shut down inside/
my body and my tired mind/too horrified to see/
can't you see your heart...). Vagamente incantati, Back to The Middle giunge quasi senza preavviso, avvolgendoci in un turbine psichedelico che ci accompagnerà, un po' spaesati ma paghi, innanzi al singolo Monomania che ascoltato 50 volte non sembra dar l'idea di volerci stancare. Consci dello sforzo sostenuto il ritmo si abbassa ed i toni diventano più morbidi con la commovente Nitebike che precede Punk (La Vie Antérieure), degno epilogo con i titoli di coda che scorrono su un altro lavoro da applausi mentre nella nostra mente si fa largo la paradossale idea di un altro capolavoro mancato per un nulla...
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