Genere: Post Rock
Etichetta: Rock Action Records
Pubblicazione: 20 gennaio 2014
Voto: 7
Quella dei Mogwai pareva una storia già vista con uno strepitoso esordio, Mogwai Young Team lontano oggi 17 anni a rendere la band scozzese capostipite della nuova generazione post-rock e pronta a confermare il proprio prodotto con un Come On Die Young (1999) dall'immutata formula e per questo subito bollata come vecchia. Il successivo cambio di rotta con l'introduzione di una base elettronica a donare nuova linfa alle successive due opere Rock Action (2001) e Happy Songs for Happy People (2003) ed il relativo ritorno in auge. Ormai band dallo status consolido l'inversione ad U verso la fortunata formula dell'esordio con l'apprezzato Mr Beast dai sentori "vintage" (2006) ed il tracollo di The Howk Is Howling (2008) raccolta di tutti i difetti degli album precedenti compressi in una formula che questa volta non appariva che tediosamente uguale a se stessa. Fine della storia? Nella maggior parte dei casi, per molti risulta impossibile arrestare la caduta libera in quel misto di autocompiacimento ed autodistruzione che ha posto la croce su molte icone del passato. I Mogwai invece sono sfuggiti a questo triste clichè riaggiornando con umiltà il loro repertorio ed i loro strumenti di elaborazione del suono e, perchè no, delle immagini, visto il carattere fortemente evocativo delle ambientazioni musicali (non certo un caso il ricorso alla band alla stesura di diverse colonne sonore, l'ultima per la serie tv francese Les Revenants). Con Hardcore Will Never Die, But You Will (2011) inizia l'era 2.0 con la nuova virata e l'incorporazione dei sintetizzatori nel linguaggio della band a donare una matrice iridescente alle cupe atmosfere scozzesi e che diventerà ancora più decisa con Rave Tapes, ottavo album di una band che a quasi due decadi di distanza dall'esordio risulta fresca e, sebbene magari non propriamente innovativa, sicuramente al passo con l'evoluzione dei gusti e dei mezzi. Il primo singolo Remurdered, giunto qualche mese fa ci srotolava davanti agli occhi il nuovo manifesto fatto di dialoghi in perfetta armonia tra chitarra, basso, l'incedere della batteria e sintetizzatori che evocano ambientazioni irreali ma allo stesso tempo vicine, quasi palpabili. Struttura che si ripete con intensità differente nella intro Heard About You Last Night, nella più piatta Simon Ferocius e nella lunga e battente fuga dell'ottima Hexon Bogon (non cercate di dare un significato ai titoli, perdereste il vostro tempo). Repelish interludio parlato, più che cantato, spezza un po' il ritmo dell'opera che dopo esser stato cullato dalla dolce ballata di Blues Hour, unica traccia cantata senza vocoder, tornerà a decollare raggiungendo il punto più alto con la maestosa No Medicine for Regret erede meno ruvida e più onirica dell'eccellente Rano Pano. Tocca all'inquietante quanto appropriato vocoder di The lord is out of control chiudere un cammino che sebbene non rivoluzionario registra quello che tutte le grandi band dovrebbero augurarsi dopo 8 album: un altro passettino in avanti...
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