lunedì 5 agosto 2013

REVIEW // Luglio 2013


Sebbene luglio rappresenti un mese, discograficamente parlando, più da sbadigli che da grandi emozioni, l'avvento del digitale ha certamente donato ai due mesi simbolo dell'estate una verve che fino a pochi anni fa difficilmente potevamo sognarci. E così capita di imbattersi in diversi gustosi prodotti fortemente indipendenti, qualche ritorno di discreto spessore e se va bene anche un capolavoro, magari non per tutte le orecchie, un po' impattante e non propriamente melodico ma pur sempre un capolavoro. E' questo il caso di Slow Focus (la recensione) del duo from Bristol, Fuck Buttons, prìncipi incontrastati di quel genere riconoscibile ma indefinibile a cavallo tra post-rock, drone music, elettronica sperimentale e chissà cos'altro... Alle loro spalle le solite cose interessanti e le solite delusioni. Tra i primi certamente il ritorno del poliedrico David Lynch, ormai più intento a crearsi una carriera musicale piuttosto che a perseverare là dove ha già ottenuto riconoscimenti e gloria eterna. Con The Big Dream la fermata del memorabile dovrà ancora attendere ma rimane un'ulteriore testimonianza di come il blues contemporaneo venga continuamente elaborato e forgiato e possa spingersi oltre i confini attuali. I ritorni commercialmente più attesi ci portano invece ad esiti diametralmente opposti. Da una parte i Pet Shop Boys risorgono dall'oblio regalandoci con Electric (voto 7) la miglior produzione dai tempi di Very e restituendoci alle piste da ballo con il ritmo contundente della traccia d'apertura Axis e le battenti sonorità anni '80 di Vocal in chiusura. Se è vero che l'album non raggiunge mai le vette degli esordi è altrettanto vero che tracce come Love Is a Bourgeois Construct, Flourescent o Thursday che pare una West and Girls con qualche giro in più, tengono costante la godibilità del prodotto e gettano un po' di freschezza in un repertorio che incominciava ad apparire un po' stantìo. E poi dall'altra parte del muro c'è il nuovo prodotto degli Editors capace di far risaltare i pur modesti ultimi lavori di The Strokes e Phoenix. The Weight Of Your Love (5,5) è il trionfo dell'inconsistenza con l'abbandono di quegli spunti elettronici che con Papillon e Eat Raw Meat = Blood Drool avevano salvato In This Light and on This Evening, e l'inevitabile uscita dal gruppo di Chris Urbanowicz che fiutando l'aria ha preferito salvare l'onore. Il fatto che A Ton of Love, che pare uno dei pezzi scartati dai Depeche Mode ad inizio anni '90, sia stato scelto come primo singolo risulta abbastanza emblematico e non sono sufficienti alcuni spunti apprezzabili come la dolce melodia di What Is This Thing Called Love a strappare la sufficienza. Tra gli esordi mediaticamente più attesi certamente figurava  quello della coppia Aluna Francis e George Reid noti come AlunaGeorge giunti con Body Music (7) per interrompere l'egemonia di una altro duo Made In UK, ovvero i Disclosure. Ascoltandolo a ripetizione si ha l'impressione che le cose più belle siano già note da tempo come la gemma Attracting Files, di gran lunga la traccia più bella, e poi You Know You Like It o Bad Idea. Certo la voce ammaliante di Aluna ha il dono di illuminare questo ibrido pop/r&b/elettronico a tratti anche innovativo ma che alla lunga su 19 brani risulta forse un po' ripetitivo. 5 tracce in meno in questo caso non avrebbero guastato tanto più che con la ipnotica Your Drums, Your Love e la delicata Kaleidoscope, Body Music chiudeva un terzo di disco da favola... Su Jay-Z non mi pronuncio, ammetto non essere il mio territorio. Certamente se speravo di veder stravolti gli stessi pregiudizi che accompagnavano la figura di Kanye West, con Jay-Z il miracolo non è avvenuto ed il suo celebrato Magna Carta... Holy Grail (s.v.) rimane un disco da una botta e via. Cosa resta? Molte piccole chicche più o meno riuscite. Chi ha amato la giovane band Yuck non poteva non attendere l'esordio dell'ex voce e chitarra Daniel Blumberg, da oggi in arte Hebronix, con Unreal (6,5). L'energia non è quella di un tempo ed il disco suona volutamente più riflessivo. Esito comunque positivo segnato dagli ottimi singoli Viral ed Unreal e da una resa complessiva fresca e gradevole. Non ci spostiamo di molto se parliamo di Speedy Ortiz ovvero la classica indie-rock band rurale Made in Usa che Pitchfork esalta (immotivatamente) alla follia, vedi Waxahatchee. Major Arcana (7) al terzo giro suona discretamente bene, trascinata da un trittico iniziale (Pioneer Spine, Tiger Tank, Hitch) di assoluto rispetto ma senza raggiungere mai l'apoteosi proclamata dall'autorevole rivista americana. Comunque ottimo album da viaggio estivo così come possiamo permetterci di consigliare Ruby Red (6,5) dei The Love Language, giunti al loro terzo album lo-fi. Calm Down è il singolo che apre l'album e fornisce tutti gli indizi del caso. Terzo ed ultimo LP da on the road è Sunken (7) dei Twin Peaks. Otto tracce alternative-rock in meno di venti minuti ma energia da vendere (Baby Blue), ottimi giri di chitarra (Natural Villain, Fast Eddie) e una piccola perla melodica ad alto ritmo (Irene). Abbiamo aperto con la bomba elettronica del mese e con lo stesso genere chiudiamo, parzialmente delusi dal ritorno di Ikonika targata Hyperdub con un Aerotropolis (6,5) che cambia faccia alla ricerca di sonorità esotiche che non convincono appieno. Per fortuna il ritorno di Mike Paradinas nella versione µ-Ziq ci rimette di ottimo umore con un Chewed Corners (7) dalle mille sfaccettature che rievocano nella nostra mente i recenti successi di Kuedo e Rustie condite da superbe melodie da viaggio un po' meno on the road...


















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