Genere: House, Disco, Balearic
Etichetta: Olsen Records
Pubblicazione: 7 aprile 2014
Voto: 7,5
"It's About Time!", insomma, "era ora!": questo è il gioco di parole usato dallo spassosissimo Todd Terje (così dice chi lo ha frequentato di persona) per presentare il suo album di debutto, forse pensato a lungo (o forse troppo a lungo), in questa decade da professionista del settore. It's Album Time giunge così più sotto forma di raccolta curriculare che di opera volta a stravolgere gli equilibri di un genere che, non ce ne voglia nessuno, di revisionisti eccellenti in questi ultimi anni ne ha visti diversi, dai Justice, ai Daft Punk... Per evitare che Terje Olsen, così risulta all'anagrafe, ne esca fuori come una figura indolente, dobbiamo lanciare uno strale in suo favore; figura attivissima prima come tecnico del suono, poi idolatrato dietro ai piatti ed autore di svariati remix, si è dilettato infine in fase di produzione (altrui) dapprima con il brano Candy di Robbie Williams e successivamente per i brani Stand on the Horizon e Evil Eyes dei Franz Ferdinand. A ciò va aggiunto ovviamente il 50% delle azioni della società Lindstrom & Todd Terje che solo la passata stagione conquistava le platee grazie all'ottima Lanzarote. Ed eccoci infine con in mano un'opera Terje al 100% che una volta superata la Intro ci catapulta in una tra le tante sit-comedy anni '70 che oggi possiamo apprezzare solo attraverso i canali retrò ma che adeguatamente rielaborate e lucidate possono trasformare il jazz lounge da incredibilmente kitsch a suadentemente vintage... Leisure Suit Preben e Preben Goes To Acapulco giocano proprio questo ruolo smorzando i ritmi di un album che a quanto pare fa dell'attesa uno dei punti cardinali. Il ritmo sale con Svensk Sas anche se non nel verso atteso: sonorità tribali e latino americane ci invitano ad improvvisarci ballerini di salsa prima che il produttore norvegese messe da parte le lezioni di stile, ci sbatta in faccia il suo estro balearico reso più tagliente dalle gelide frecciate elettroniche del singolo Strandbar prima e dalla ipnotica e coinvolgete Delorean Dynamite poi, cui il debito a Giorgio Moroder è evidente e meritevole di un grosso uovo di Pasqua come parziale indennizzo... La perla dell'album segna BPM che mai avremmo immaginato perchè con Johnny & Mary si viaggia piano ma si vola in alto e la voce di Brian Ferry non fa nulla per impedirci di teletrasportarci in tempi dove non eravamo più che un pensiero e Robert Palmer aveva la nostra età... La traccia lunga ci permette anche di pensare che questo album carico di difetti ci piace davvero sebbene la bizzarra Alfonso Muskedender provi a minare le nostre nuove certezze. Lo consideriamo un intermezzo musicale prima che le sonorità cosmic delle due Swing Star (riprese dall'EP It's the Arps del 2012) non ci rimettano in viaggio verso i fiordi spigolosi e rasserenanti dell'estremo nord europeo. Ormai non ci ferma più nessuno ed il finale in crescendo passa per la cavalcata emozionale (e non solo) di Oh Joy e della stranota Inspector Norse che funge da bis conclusivo ed acclamato. E come ogni concerto che si rispetti una parte di noi ad applaudire con gli occhi lucidi e l'altra a maledire l'attesa e spettacolare Spiral che nella tracklist, per motivi ignoti, un piccolo posticino non è riuscita a conquistarselo...
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