Genere: Synth-Pop, Darkwave
Etichetta: Arts & Crafts
Pubblicazione: 4 marzo 2014
Voto: 7
E' stato sufficiente un album per lanciare Trust nell'Olimpo degli artisti o band di culto, probabilmente anche a causa del successo strabordante da parte dei Crystal Castles che con i loro primi 2 album hanno stimolato, seguendo i principi base del corso di Marketing Ia annualità, un desiderio che ancora molti ignoravano di possedere e che ovviamente il duo formato da Alice Glass ed Ethan Kath da solo non era in grado di soddisfare. TRST dell'allora progetto formato da Robert Alfons e Maya Postepski andava a colmare almeno in parte un mercato darkwave inaspettatamente numeroso ed insolitamente avido, forse anche avvantaggiati dall'aria fredda e dai repentini tramonti caratteristici di una Toronto che guarda caso offriva ed offre tuttora vitto e alloggio alla coppia Glass/Kath. Ma i parallelismi finiscono cui e con lo splendido esordio del 2012 quella Postepski impegnata contestualmente con gli Austra e Robert Alfons aprivano nuovi scenari tenebrosi in cui pop sintetico frizzante, elettronica di matrice gotica ed arrangiamenti dark estirpati da una casa degli orrori si fondevano per creare un prodotto forse non tossico ma sicuramente in grado di creare forte assuefazione. Ma visto che dalle ambientazioni macabre raramente scaturisce un lieto fine ecco Robert Alfons rimanere solo dopo il ritorno della compagna Postepski a casa Austra, cosa che in realtà spiazzava solo relativamente vista l'essenza fortemente alienante del progetto. Ciò che spiazza ora, piuttosto, è la natura del nuovo progetto che invece di risultare ancora più oscuro e maniacale ritrova a sprazzi un'inattesa solarità con raggi di luce frequenti anche se mai abbaglianti a giustificare il titolo dell'opera e le prime dichiarazioni di Alfons che annunciava l'opera come una viscerale erezione di elettrizzante gioia... Seguendo la più celebre regola non scritta, ovvero che solo attraverso i sentimenti più cupi nascano opere d'arte destinate a lasciare un segno longevo, ecco con Joyland un lavoro senza dubbio intrigante, forse ancora più ballabile del precedente e per questo capace di attrarre a se ancora più consensi, almeno numericamente, ma privo di quella immediatezza, quell'aria nostalgica e quella freschezza tetra e agghiacciante colonna vertebrale del vincente esordio. La struttura dell'opera in ogni caso non tradisce con la traccia Slightly Floating a cui spetta il compito di fare gli onori di casa e rendere più sopportabile la cupezza circostante. Neanche mancano brani di sicuro impatto a partire da due fenomenali singoli Capital e Rescue, Mister, non a caso i più vicini alle ambientazioni del 2012. Senza Postepski ricade su Robert tutto il peso delle evoluzioni canore, dagli squittii della title-track, alla voce tombale di Icabod o della brillante Four Gut fino ai cori castrati di Lost Souls/ Eelings, conferma di come l'artista vesta con innegabile disinvoltura i panni del vocalist sia quando si trova a sostenere trame melodiche (Are We Arc?) sia quando la voce ha il compito di contenere battiti al limite della techno (Peer Pressure), di questi tempi, un pregio non da poco...
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