lunedì 3 febbraio 2014

IN DIE HISTORY // Slowdive


A distanza di quasi 20 anni, i riflettori che sembravano definitivamente spenti tornano invece a puntare quello che è stato uno dei gruppi più rappresentativi del movimento "shoegazer" britannico degli anni '90, gli Slowdive. I rumors che lasciavano intravedere spiragli di una clamorosa reunion si sono concretizzati: è ufficiale la loro presenza al Primavera Sound Festival 2014 di Barcellona con la line-up che vede Neil Halstead, Rachel Goswell, Christian Savill, Simon Scott e Nick Chaplin tra i grandi protagonisti. Inoltre stando ad un'intervista rilasciata dal cantante e chitarrista Neil Halstead a The Quietus, il gruppo è pronto a produrre un disco di inediti poichè c'è del materiale nuovo a disposizione. L'annuncio da parte della band è arrivato seguendo i canoni attuali, un bel tweet succinto di quelli che non si possono fraintendere: "Gli Slowdive sono tornati" e, aggiungiamo noi, hanno voglia di proporre qualcosa di nuovo. "La spinta iniziale è arrivata dall'idea di fare nuova musica. Ci è sembrata la cosa più semplice, visto che non implicava l'uscire allo scoperto. Ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato un bene tirare su un po' di soldi da investire nel nuovo disco e che fare un paio di concerti ci avrebbe permesso di guadagnare qualcosa".
La band è nata a Reading nel 1989 su iniziativa di Neil Halstead (chitarra e voce) che aggregò Rachel Goswell (chitarra e voce), Christian Savill (chitarra), Adrian Sell (batteria) e Nick Chaplin (basso). Nel 1990 firmarono per l'etichetta Creation di Alan McGee e rilasciarono il loro battesimo discografico, l'EP Slowdive, il 5 Novembre, contenente il brano omonimo e Avalyn 1 & 2. Morningrise (febbraio 1991), ripropose la formula passata con l'ingresso alla batteria di Neil Carter, sostituito a sua volta dopo pochi mesi da Simon Scott. Entrambi i lavori confluirono in Blue Day (Creation, 1992) con Ian McCutcheon insediatosi alla batteria.
Ma è ancora il 1991 a regalarci il monumentale album Just For A Day, su cui è doveroso spendere due righe per ridescrivere questa pietra miliare. Un esordio sulla lunga distanza con un sound astratto, le atmosfere dilatate, lunghe sinfonie distorte a cui si sovrappongono gli intrecci vocali ed il cui cantato delicato ed etereo li conduce direttamente allo zenith dell'emisfero musicale dove da questa collocazione privilegiata si pongono oltre il livello di trascendenza rappresentato dai precedenti EP, impartendo lezioni celestiali a cominciare dalla lunga cavalcata di Spanish Air che inizia a massaggiarci le sinapsi, e poi con la surreale ed eterea dolcezza di Catch The Breeze incalzata dalla melodia marziale delle chitarre sul finale, il ritornello corale con le equilibrate e delicate voci di Ballad of Sister Sue, l'ambient vortico-strumentale di Erik's Song, la magistrale imponente e falso-solare Waves, Brighter ed il canto ancestrale di Rachel avvolto da flussi melodici, le atmosfere soffuse di The Sadman, l'onirico teso prigioniero in Primal. Il filo conduttore dell'album è più o meno rappresentato dal desiderio di farsi catturare dall'oblio, di abbandonare quei ricordi dolorosi che rievocano gli spettri di una felicità perduta; i testi e le musiche celano un disagio, una depressione, un malessere profondo e completo.
Entrati di diritto a far parte del gotha del genere shoegaze, fare meglio diventa inopinatamente impossibile e difatti loro non ci riusciranno. Il secondo disco, Souvlaki (1993), abbandona un po' le tinte fosche e fa un passo indietro in quanto a sperimentazione sebbene conti della partecipazione di Brian Eno: il tastierista volle fortemente collaborare con questo gruppo dal talento cristallino. Esso ha come opener la ballata Alison, Machine Gun, Sing il cui coautore è proprio Brian Eno, Here She Comes, l'estatica soffusa Souvlaki Space Station, When the Sun Hits che racconta di Icaro e della sua smaccata presunzione, Melon Yellow, la dolce e malinconica Dagger, la ballata intimista di Altogether.
Dopo la quiete, ecco arrivare la tempesta. Neil Halstead imboccò la strada dello sperimentalismo puro, una virata non gradita da Chaplin e Savill che abbandonarono il gruppo durante le registrazioni del terzo disco. Con premesse del genere il crack era clamorosamente dietro l'angolo: in quello che venne definito "clima paradossale" nacque Pygmalion (1995), il canto del cigno. Psicologico e poco armonioso, l'ambient oscuro e rarefatto disorientò un po' tutti: bistrattato dalla critica, per molti, in primis Halstead, questo cambio di rotta lo rende addirittura come il disco della band più riuscito, tesi a distanza di anni che viene sempre più confermata. La nebbia torna a farsi fitta in Miranda e Trellisaze; It's Heaven ci ripone in uno stato di trance mentre Crazy For You e soprattuto Blue Skied An' Clear sono le tracce che lasceranno le impronte più profonde ma che non saranno in grado di salvare la barca che affonda: il capitano e boss della Creation Records Alan McGee interruppe il rapporto con il gruppo divenuto così sperimentale e lontano da quel brit pop in quel momento così in voga. Il rompete le righe portò Neil Halstead e Rachel Goswell a firmare per la 4AD dando vita ai Mojave 3, ma le cronache attuali ci consegnano il nastro di questa storia completamente riavvolto.

by Sigu             

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