Genere: Art-Pop
Etichetta: Loma Vista / Republic Records
Pubblicazione: 25 febbraio 2014
Voto:
8

Il tragitto di
Annie Erin Clark appare a posteriori così perfetto e romanzato da sembrare la trama di una di quelle favole Disney in cui la stessa cantautrice si gettò, affogandovi, al termine del primo tour da solista che la rapì al suo mondo per un lungo anno ma che al nostro di mondo regalò una nuova colonna sonora fatta di arrangiamenti irreali, melodie animate, riff ritorti sporchi di talento e tanta personalità che si trasforma in arte una volta colata sul pentagramma.
St. Vincent rappresenta per la stessa
St. Vincent l'identificazione piena nel suo album, il suo lavoro più personale e riuscito, che non significa il migliore, ma certamente lo specchio che adorna la camera della sua carriera e che giustifica a suo modo il titolo omonimo. Forgiata dai laboratori non proprio di periferia dei
The Polyphonic Spree e di
Sufjan Stevens la bella Clark decide di mettere la chitarra in spalla e lanciarsi nell'avventura personale cercando e trovando forza e motivazioni nei versi di Dylan Thoman a cui si deve il suo pseudonimo, St. Vincent, suggerito dal nome dell'ospedale che vide morire il grande poeta gallese. E
lì dove la poesia muore trova vita lo scenario per rappresentare una nuova suggestiva poetica giunta con l'album omonimo al quarto capitolo (se si esclude l'album scritto a quattro mani con David Byrne) in una costante escalation di successi (Merry Me nel 2007, Actor nel 2007) che sebbene probabilmente trovi ancora in
Strange Mercy (2011) il suo punto più alto offre con la neonata opera un nuovo carosello di emozioni che Annie destreggia a proprio piacimento con un'estetica personale e del tutto anticonvenzionale lasciando sempre più spazio alla sperimentazione e che solo qua e là incontra il tocco del produttore
John Congleton. Apre le danze una
Rattlesnake frutto di un'incontro ravvicinato con un serpente a sonagli in cui si denota la tensione crescente dell'evento che sfocia nel lungo riff a rappresentarne la fuga. Ritmi dolci e ballabili che si alternano senza uno schema preciso lasciando che la serotonina scorra maggiormente nella prima parte caratterizzata anche dalla festaiola, e primo singolo,
Birth in Reverse, potente e aggressiva così come l'elettrica
Digital Witness ancora fortemente influenzata dall'esperienza con l'ex Talkin Heads. La sensibilità pop ed i ritmi più tenui contraddistinguono invece l'altro singolo
Prince Johnny ed in parte anche la successiva
Huey Newton. Amore e rimpianto si scontrano con
I Prefer Your Love e
Regret scatenando con gli arrangiamenti del caso le sonorità più consone ai due stadi. Si torna a ballare e a contorcersi estasiati dalla sorprendente ed elettronica
Bring Me Your Love cui la successiva
Psychopath pare esserne il prolungamento melodico. Una festa che finisce mai e che si spinge fino ai beat sintetici di
Every Tear Disappears per poi lasciare alla mesta
Severed Crossed Fingers il compito di spegnere un incendio che la penetrante ed ammaliante voce della principessa Clark, forte della sua chitarra magica, non ha fatto che rinfocolare ad ogni traccia...
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