venerdì 6 giugno 2014

PS14 // Report del sabato al Parc del Forum




La tirata del venerdì non era casuale ma studiata a tavolino visto un sabato dall'avvio volutamente molto easy. Il vero rimpianto rimane l'ex Vivian Girls Katy Goodman ora nota sotto il moniker di La Sera, anche se non sufficiente da temere notti insonni. Sebbene un'occhiata Courtney Barnett l'avrebbe certamente meritata decidiamo di aprire il nostro programma con Dee Dee Penny e le sue Dum Dum Girls. Tracklist che alterna con gusto il meglio delle ultime produzioni anche se, nonostante l'indubbia personalità mostrata, rimane difficile immaginarle in uno scenario che non sia il Pitchfork. Alla fine del live mentre l'esodo verso il Ray-Ban di Caetano Veloso è già iniziato, noi ci limitiamo a girare l'angolo ed esiliarci nel limitrofo Vice per apprezzare i newyorkese Hospitality che a ridosso del festival hanno guadagnato con merito numerose posizioni nella nostra classifica di gradimento. Nonostante il primo pomeriggio si fosse aperto con ben poco rassicuranti boati dal cielo ora il sole ci guarda dritto in faccia, la "barra" di Heineken è dietro di noi a due passi e l'indierock-band snocciola, senza infamia nè lode, le nostre favorite: Friends of Friends, Going Out fino alla fantastica Last Words con cui chiudiamo ed iniziamo la prima traversata del Forum direzione Volcano Choir. L'ottima posizione scovata ci consente di godere appieno dell'ottima performance del progetto statunitense anche se, inutile nasconderlo, gli sguardi indugiano quasi esclusivamente sul genio di Justin Vernon che ci propina lo spettacolo da dietro una sorta di pulpito che lascerà solo per i saluti di rito. Ad entusiasmare sono certamente più le perle del recente Repave che non le tracce dell'album d'esordio. Cio che è palpabile è come il progetto Volcano Choir abbia assunto un ruolo centrale nel cantautore del Wisconsis, idea rafforzato dai due nuovi brani, Valleyinaire e The Agreement, presentati ora anche al pubblico del Primavera... 





Il programma ancora una volta non lascia dubbi: l'obbiettivo è il live di quel fenomeno di Dylan Baldi ed i suoi Cloud Nothings che ci permetterà, cammin facendo, anche di godere di un pezzo di storia del post-rock con una buona mezz'ora dei canadesi Godspeed You! Black Emperor, fenomenali come narrano le cronache. Giungiamo al Vice spaccando il secondo ed un altra manciata sono sufficiente per capire che siamo nel posto giusto e ci attenderà un'ora da delirio. La resa è ottima e Dylan tiene botta fino all'ultimo respiro regalando, ad eccezione di Our Plans, tutte le perle che chiunque amante del trio di Cleveland avrebbe voluto sentire ed urlare e la chiusura con Wasted Days è solo la ciliegina sulla torta...
Sfuggendo alle scelte di massa decidiamo di iniziare le danze con largo anticipo puntando decisi verso il live set dei Genius of Time impegnati all'igloo del Boiler Room ma con discreta sorpresa, nonostante il live dei NIN ed i Mogwai pronti a salire sul palco troviamo uno stage pieno all'inverosimile e davvero invivibile... Tra NIN e Mogwai puntiamo allora diretti sulla band scozzese memori del mirabilante live del 2011 ed a quanto pare non siamo stati gli unici a pensarlo dal momento che l'ATP si presenta pieno come mai prima in questa edizione. Quanti buongustai in così poco spazio... Ci regaliamo solo 6 brani ma la presenza dell'occasionale Luke Sutherland, l'intramontabile I'm Jim Morrison, I'm Dead e la personale chiusura con l'amata Rano Pano sono note sufficienti per incamminarsi tronfi verso la spianata a sud del recinto. I 20 minuti di Nine Inch Nails che ci regaliamo confermano uno stage ben lontano dal sold-out ma anche una carica di vibrante energia, più elettronica che elettrica che forse meritava una chance, ma la vita è lunga e Trent sembra ancora sul pezzo... Con tutta onestà, forse traviato anche dal recente riconoscimento Best Live Act, era proprio quello dei Foals il concerto più atteso della giornata. Ben lungi dall'uscirne insoddisfatto perchè dal vivo ci sanno davvero fare e la sfrontatezza del frontman Yannis Philippakis catalizza l'attenzione come pochi, il concerto lascia un non-so-che di non finito... Nonostante la direzione intrapresa dalla band sia chiarissima nell'ultimo Holy Fire mi attendevo una resa più marcatamente elettronica che è venuta a mancare così come quella Electric Bloom di cui, di quella rotta, ne era il simbolo.





Direzione Cut Copy ci fermiamo per la coda dei Chromeo al Ray-Ban ed il dubbio di esserci perso qualcosa di molto carino... Tra gli eventi synth-pop il quartetto australiano era riuscito con una cavalcata inattesa a conquistare il gradino più alto del podio e le aspettative fortunatamente non tradiscono, regalandoci un concerto stilisticamente certo non memorabile ma via via sempre più coinvolgente trascinato dai suoi motivetti accattivanti ed dalla consepevolezza nei presenti di essere dinnanzi ad una tra le ultime occasioni per liberare la propria frenesia ed irrequietezza...
Chi aveva la mente sgombra ed i muscoli caldi ci parla di un Daniel Avery in grado di fare impazzire l'ultima al Pitchfork; noi molto più di quello che restava in corpo lo regalavamo invece al set finale del padrone di casa Dj Coco, fatto di perle dei passati PS, classici intramontabili e qualche mix un po' naif. Il sole infine arrivava e rivelava i volti consumati dalla stanchezza, comunque sereni ma già rigati da quella malinconia di chi sa che per gioie di questo tipo il conto alla rovescia è lungo un anno...




Venerdì              

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