


Sebbene con un leggero ritardo dovuto prevalentemente al nostro trasferimento in quel di Barcelona ed alle relative scartoffie da sbrigare eccoci al nostro consueto resoconto mensile di un giugno forse non caldissimo fa certamente neanche avido di soddisfazioni. A trionfare, confermando una stagione in cui sembrano essere gli outsider a farla da padrona, il collettivo capeggiato da 
Ben Daniels con sede Philadelphia (anche se il resto dei componenti è dislocato ai quattro angoli del globo) dei
 A Sunny Day In Glasgow che sfornano con
 Sea When Absent la loro quarta nonché miglior opera, trattata lungamente nella 
nostra fresca recensione. Il primo ascolto del post Primavera Sound è dedicato al fresco nuovo prodotto della post-punk revival band newyorkese dei 
Parquet Courts (caldissimi candidati al PS15) con 
Sunbathing Animal (voto 
7): prodotto dall'indubbia peculiarità al cui iniziale fascino fa spazio un senso di dejavù che si trascinerà a lungo facendo spazio a qualche vuoto ma anche a diverse perle dalle cadenze divergenti come 
Black and White e 
What Color Is Blue oltre ai due ottimi singoli 
Sunbathing Animal e 
Instant Disassembly. Dopo è toccato all'aurea della bella 
Lana Del Rey con il peso dell'eredità del prezioso (quantomeno commercialmente)
 Born To Die sulle spalle di 
Ultraviolence (
7) che tiene botta pur senza le "hits" del precedente ma con una maturità ed una costanza che fanno da contrappeso ed una vena autodistruttrice che palesano un coinvolgimento più intimo in un'opera che vede tra le sue gemme più rappresentative oltre alla title-track, 
West Coast, 
Sad Girl e la nostra preferita, 
Money Power Glory. Altro nome che certo non necessita di presentazioni, 
Jack White prosegue il suo percorso solitario con 
Lazaretto (
7) che appare un nuovo laboratorio di sperimentazione allargando e rifiendo il proprio filone implementando al proprio riconoscibile stile nuove trame funk 
(Three Women) e country (
Temporary Ground) accompagnate da massiccia dose elettronica (
Lazaretto). Un disco certo non definitivo quanto piuttosto di transizione ma che lascerà poche orecchie deluse. Di difficile interpretazione, per diversi motivi il nuovo lavoro dei 
Kasabian con 
48:13 (
6). Quello che sembra un album di rottura che vede davvero pochi punti di contatto con il passato (stevie e poco altro) appare per lo più approssimativo e talvolta addirittura sempliciotto. Il meglio va probabilmente ricercato nella suo approccio pop-hooligans (
bulblebeee,
 domsday, 
eez-eh) forse non incisivo ma almeno coinvolgente. Rivedibile anche l'apporto elettronico (
explodes a parte) che invade la seconda parte dell'album e che sembra sul punto di rapirti senza mai arrivare a farlo. Stesso discorso fatto per la band di Leicester calza a pennello anche per i londinesi 
Klaxons con 
Love Frequency (
6-) a cui non basta il supporto di
 James Murphy e 
Tom Rowlands dei Chemical Brothers per rendere vincente il ritorno 
atteso da 4 anni. Se l'inizio con 
New Reality ed in parte anche
 There Is
 No Other Time raccolgono consensi per il loro approccio dance-floor 
diretto e pulito, la parte centrale dell'album presenta voragini creative
 preoccupanti ed imbarazzanti e solo un finale in crescendo riesce a 
strappare una risicata (e forse regalata) sufficienza. Da chi era lecito attendersi di più era certamente 
Sam Smith, cantautore brit giunto alla ribalta per aver prestato la voce alla 
Latch dei Disclosure e regalato la luminosa hit 
Money On My Mind. Il resto se non è noia è quantomeno ridondanza. Il repertorio a cavallo tra soul & R&B dopo un promettente inizio rinfocolato anche dalla graziosa 
Good Thing va inesorabilmente spegnendosi, ripetendo schemi già visti e di fattura ben più pregiata (Adele, Emily Sandè). Chi invece di ritmi compassati e climi mesti e melanconici è diventato maestro è 
Tom Krell meglio noto come 
How To Dress Well in grado ogni due anni, dal 2010, di farci fermare a riflettere ammaliati da sonorità e tematiche sempre attuali. Quest'anno tocca a 
What Is This Heart? (
7,5) dall'immutato stampo R&B legato a cupe sonorità elettroniche ed ambientazioni fantasmagoriche talvolta desolate ma mai piatte. Sebbene l'opera appaia come la più ambiziosa del cantautore americano sembrano mancare le classiche due gemme (che in 
Total Loss furono Cold Nites e & It Was U) per regalargli la nomea del capolavoro pur considerando 
Face Again, 
Repeat Pleasure o 
Words I Don't Remember di solo un gradino inferiori. Parlando di malinconia il collegamento con 
The Antlers viene immediato. Con 
Hospice che rimane una delle colonne dell'ultimo lustro gli ultimi lavori della band newyorkese suscitano su di noi un retrogusto quasi insipido. Anche cercando di estrapolarlo dai nostri ricordi 
Familiars (
6,5) rimane un'opera gradevole almeno quanto omogenea nella sua estrema intimità quasi Silberman e soci dopo il successo riscosso volessero tornare in quel rifugio chiamato anonimato. I due singoli 
Palace e 
Hotel in tal senso rappresentano appieno l'identità dell'album. 
 
A confermarsi costante di quest'annata di transizione sono ancora gli outsider ad impreziosire il mese. Partendo dalle atmosfere più soft (ma non troppo) sorprende il ritorno di 
Timothy Showalter aka 
Strand of Oaks che giunto alla quarta prova ci regala con 
HEAL (
7,5) quello che rappresenta probabilmente il suo miglior prodotto nonché quello che, a parte la lirica non sempre incisiva, rappresenta quasi un testamento della musica folk americana adattata ai tempi ed alle circostanze. 
Goshen '97 apre e travolge, 
Shut In e 
Woke Up To The Light commuovono, e giunti alla eclettica 
JM siamo già completamente conquistati. Spostandoci più a nord e valicando il territorio canadese veniamo investiti fisicamente dal prezioso nuovo (terzo) lavoro dei 
White Lung con 
Deep Fantasy (
7,5) attualmente in miglior lavoro noise rock del 2014 e che, nonostante le sonorità fragorose, riesce ad essere immediatamente accessibile anche grazie alla lunghezza esigua delle tracce (e dell'album), alla lirica intrigante ed alle numerose gemme che stipano soprattutto la prima parte dell'opera tra cui spiccano 
Drown With The Monster, 
Down It Goes e la meravigliosa 
Face Down (da noi premiata come 
miglior traccia della prima metà di stagione). Sicuri di se stessi ed in "totale controllo" un'altra gradita sorpresa sono i 
Total Control che con 
Typical System (
7) mettono sul piatto un'opera anticonvenzionale ed abrasiva che attraversa con nonchalance postpunk, hardcore, krautrock e tutti i sottogeneri correlati con una venatura quasi eroica senza dimenticarsi i classici pezzoni ad offrire un ulteriore valore aggiunto, 
Flesh War su tutti senza dimenticare 
Glass e 
Expensive Dog. Degno di menzione e decisamente poco battuto sul nostro territorio il nuovo lavoro del duo scandinavo 
Lust For Youth che offre con 
International (
6,5) un break synth-pop godibile anche se lontano, eccetto rari casi, dalla venatura fortemente dark-wave cui ci aveva abituato ed è un peccato perchè 
Epoetin Alfa in tal senso risulta di gran lunga la traccia più piacevole. In una stagione che, rispetto ad un 2013 elettronico esagerato viaggia a ritmo ridotto, il nuovo lavoro di 
Lone con 
Reality Tasting (
7) va raccolto come un dono. Messo alle spalle l'ottimo Galaxy Garden 
Matt Cutler rispolvera la vecchia passione per le ritmiche hip-hop pur mantenendo inalterato come nel caso 
Aurora Northern Quarter  e 
2 Is 8 l'inconfondibile tocco sensuale ed ipnotico.