


Si chiude un aprile in cui a farla da padrona sono stati i ritorni di nomi eccellenti che non in tutti i casi si sono rivelati all'altezza delle attese. E così se
The Knife ci hanno presentato con
Shaking The Habitual (
7) un lavoro apprezzato ma più attento all'estetica che al contenuto musicale non altrettanto riscontro ci ha regalato
Bankrupt! (6,5) in cui i
Phoenix non sono riusciti a replicare l'incredibile successo di
Wolfgang Amadeus Phoenix presentandoci un prodotto commerciale al limite del ridondante sebbene a tratti comunque piacevole. Forse, per quanto concerne i
Yeah Yeah Yeahs l'attesa era un po' minore fatto sta che il ritorno con
Mosquito (
6,5), qualitativamente ben lontano dai lavori precedenti, appaga in ogni caso il nostro desiderio di nutrirci dello stile caratteristico di
Karen O e compagni regalandoci un'oretta di relax senza pretese tra la perla d'apertura,
Sacrilege, l'aggressiva
Mosquito e l'accoppiata
Under The Earth e
These Paths in cui il vecchio stampa e le nuove sonorità orientali si fondono con esito positivo. Tra i più acclamati ritorni il secondo lavoro di
James Blake è senza dubbio quello che ci conquista maggiormente.
Overgrown (
7,5) risulta una versione più concisa, robusta, in qualche maniera ispirata, dell'album di debutto ma che non riesce mai a raggiungere l'apice promesso dall'altrettanto robusta campagna mediatica e che sembra prendere il volo solo a metà album con la tripletta formata dal primo singolo
Retrograde,
Digital Lion e
Voyeur. Poche aspettative ed ottime sensazioni invece sono il risultato che accompagna il quinto album del cantautore rock-folk americano
Kurt Vile che a nostro dire con
Wakin On A Pretty Daze (
8,5) si aggiudica a mani basse la palma di miglior album del mese (e forse dell'anno fino a questo momento) inanellando una serie di gemme senza un attimo di sosta tra
Wakin On A Pretty Day,
KV Crimes,
Never Run Away non meno che
Pure Pain e quella
Snowflakes Are Dancing che forse più di altre ci richiama al precedente e fortunato
Smoke Ring For My Halo. Quel che resta, fors'anche un po' offuscato da cotanta carne al fuoco non spicca nè emerge e le seconde linea rimangono relegate senza trovare quel posto al sole che nelle precedenti mensilità gli outsider erano riusciti a conquistarsi. Invero
Charli XCX qualche attenzione la desta soprattutto attraverso Pitchfork che dona (o meglio regala) al suo recente lavoro l'etichetta di Best Album. Cosa abbia visto
Mark Hogan in questa opera ci è ignoto ma noi troviamo solo un termine che possa pienamente centrare
True Romance (
6.5): orecchiabile. Altra opera creata per la massa in cui all'accattivante
Nuclear Seasons segue
You - Ha Ha Ha, in cui la base di
Gold Panda in questo contesto non convince. Si balla tra synth-pop ed indietronica senza annoiarsi ma senza riuscire mai ad esaltarsi. Più piacevole il ritorno delle
No Joy:
Wait To Pleasure (
7) si era presentato con la splendida
Lunar Phobia ma alla fine è tutto il cupo post-rock della band al femminile canadese a rapirci. A tratti riflessivo (
Hare Tarot Lies) e tratti più aggressivo (
Blue Neck Riviera) ma complessivamente quadrato e coerente. Non passerà alla storia ma
Junip (
6) secondo album per la band omonima, ci regala un'altra oretta piacevole ma senza pretese. Folk-pop quasi atmosferico per la band svedese di
Jose Gonzalez. Apertura con la melodica
Line of Fire in crescendo fino alla piccola gemma
Your Life Your Call per poi perdere lentamente d'intensità. Nomi consolidati che tornano con esiti in qualche maniera analoga; e così ci gongoliamo ascoltando il nuovo luminoso lavoro dei più che prolifici
Thee Oh Sees,
Floating Coffin (voto
7) che ci fa dono di un album consacrazione in cui è raccolto tutto il repertorio della band che va dal garage punk con
Tunnel Time e soprattutto l'apripista
I Come From The Mountain, allo psichedelico aggressivo di
No Spell, al folk quasi melodico di
Minotaur.
Qualche sussulto in meno, ma in ogni caso apprezzabile il quinto lavoro di
Iron & Wine,
Ghost On Ghost (
6,5), alle prese con un cambio di registro che lo distacchi da un folk quasi anacronistico. Lo consideriamo un punto di passaggio positivo che riesce ancora a farci rivivere gli antichi fasti soul attraverso
Low Light Buddy Of Mine o le lontane atmosfere jazz ancora vive in
Lover's Revolution. Anche gli amanti della musica ambient con riflessi industrial sperimentali hanno di che gongolare perchè
The Haxan Cloak torna con un secondo album,
Excavation (
7,5), degno erede dell'esordio in cui la disperazione del presente risulta tangibile ed opprimente. Un paesaggio cupo fatti di suoni che sembrano fantasmi volti a rievocare uno stato d'animo non così sconosciuto...
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